
Bancarelle di libri sul lungosenna a Parigi – incisione da ” Physiologie des Quais de Paris” di Victor Uzanne
Di recente un’importante Club dedicato al mondo della bibliofilia ha indetto un concorso per la miglior collezione libraria di un giovane. Esaminando i criteri di ammissione si scopre che punto focale del concorso è “la coerenza della collezione” ed il suo “rigore bibliografico”, la raccolta cioè deve avere uno specifico tema che la caratterizzi (autore, stampatore, periodo storico, legature, ecc…), l’importante è, quindi, avere un filo conduttore. Naturale per il collezionista chiedersi a questo punto quale sia il “filo” della sua raccolta. Ed è stato inevitabile, nel mio caso, rendermi conto che dopo tanto tempo e raccolte, un filo non l’avevo. Come era successo? Lo avevo avuto e l’ho perso? Non l’ho mai trovato? Come ha lavorato la mia mente di amatore dei libri in questi anni? Perché scegliamo da uno scaffale, sia esso fisico o virtuale, un libro piuttosto di un altro?
Se è vero che a metà del cammin della mia vita avevo letto centinaia di libri “moderni”, che cosa è successo quando ho avuto in mano il primo libro da collezionare e non solo da leggere?
Nell’affrontare questo periglioso viaggio ho scelto come “compagno” un intellettuale parigino vissuto a cavallo tra XIX e XX secolo: Victor Uzanne. Uzanne fu critico d’arte, saggista, giornalista (scrisse per “L’Echo de Paris” e “Le Figaro”) e bibliofilo. Scrisse libri e fondò riviste che trattavano della storia della bibiofilia e dell’arte tipografica, come “Le Livre”, “Nos amis le Livres” e “Physiologie des Quais de Paris”.
Collaborò con la “Société des Amis des Livres” per poi fondare a sua volta la Société des Bibliophiles Contemporains (1889- 1894) e la Société des Bibliophiles Indépendants (1896-1901). Compagno ideale in questo percorso alla scoperta del collezionismo e dei mercatini poiché alcune delle sue opere furono espressamente indirizzate proprio a questo mondo. Uzanne descrisse con molta passione il popolo dei bibliofili, le sue manie, le tecniche di compravendita, i mercatini lungo i Quais del lungosenna che durante la Belle Epoque si animavano di cacciatori di libri a passeggio tra le “bouquinistes”, i banchetti. Descrisse anche i sotterfugi, le piccole ruberie, la “fame” dell’amatore di libri disposto qualsiasi cosa pur di portare a casa il libro bramato.E non ultimo Uzanne si sofferma sulla domanda dalla quale siamo partiti: come scegliamo un libro?
Tentando di trarre dall’esperienza personale una possibile schematizzazione dell’evoluzione del percorso di vita di un bibliofilo potrei delineare 3 fasi principali:
1. Gli inizi – ovvero “basta che sia antico”
La prima volta che si tiene letteralmente in mano un libro antico (definiamo per convenzione antico un libro a stampa prodotto prima del 1830, prima cioè dell’introduzione dei moderni processi di stampa meccanizzati ed automatizzati che secondo Victor Uzanne erano colpevoli di aver esteso alle masse la diffusione dei libri con conseguente produzione di testi di bassa qualità) si provano emozioni particolari. Ricordo ancora che il primo testo della mia raccolta, “ Observationum medicarum rariorum […]” un trattato di medicina stampato a Lione nel 1644, si rivelò una sorpresa per i sensi.

Il “primo” libro…
Avendo da sempre vissuto il libro come oggetto prevalentemente “visivo”, mi accorsi tenendo nelle mani il volume, di provare altre sensazioni. Il tatto innanzitutto stimolato dalla carta che “scrocchia” sotto le dita, ruvida, materica. L’udito, con quel suono che divenne per me il “canto della carta” (e con il tempo imparai a riconoscere i diversi “canti” e voci cartacee). Se è vero, come la scienza insegna, che l’olfatto è una delle memorie più radicate nel tempo, questo è di certo un altro senso importante coinvolto. Ogni accoppiamento carta/inchiostro ha la sua nota caratteristica. Il bibliofilo spesso si può riconoscere dal fatto che all’apertura di un testo antico appoggia come prima cosa il naso sulle pagine aperte per “sentirlo”.
“Entrai nella libreria e aspirai quel profumo di carta e magia che inspiegabilmente a nessuno era ancora venuto in mente di imbottigliare”. Carlos Ruiz Zafon – Il gioco dell’Angelo 2008
Travolto dai sensi il povero bibliofilo in erba finisce per innamorarsi inizialmente di tutto ciò che sa di antico. Inevitabile dunque che i primi acquisti siano basati solo su questo criterio senza particolari esigenze, si è insomma di “bocca buona”. Molti grandi collezionisti hanno nelle loro biblioteche questi primi libri acquistati senza un approccio razionale. E se ad inizio ‘900 il bibliofilo in erba si gettava a capofitto sulle bancarelle dei Quais parigini oggi si avventura non meno coraggiosamente sul lungosenna virtuale di ebay (sperando di non incappare in “incauti” acquisti) e, se consentito dalla frenesia dei tempi moderni, nei sempre più rari mercatini dell’usato, antiquariato, brocantage dove cercare libri tra parti di vecchie radio, giocattoli in latta, finti grammofoni prodotti in India, “militaria” varie e l’immancabile bancarella di francobolli.
2. La crescita – ovvero “basta che sia raro”
Nella vita, inevitabilmente, si cresce. E con l’evoluzione aumenta la complessità e la razionalità prende il sopravvento sull’emotività. Il bibliofilo “evoluto” si abbandona meno ai sensi. Scopre l’importanza dei frontespizi ed i colophon (sigla finale degli antichi libri a stampa ancora presente in alcune edizioni di lusso moderne contenente il nome dello stampatore e altre indicazioni relative alla stampa), scopre l’importanza del luogo di stampa, dello stampatore, dell’edizione (prima? successiva? E’ una prima edizione? prima stampa o successive?).
Scopre anche l’importanza della completezza. Impara presto il termine “collazione” perché anche la semplice assenza di una apparentemente banale “carta bianca” può modificare il valore di un’opera. Il bibliofilo a questo stadio dovrebbe anche pensare ad un tema, un filone, un programma “coerente” di acquisizioni”. A questo grado di evoluzione si passa, in base alle possibilità economiche, alle aste e alle librerie antiquarie. Oggi partecipare alle principali aste nazionali o internazionali è possibile anche dallo smartphone. Si studiano cataloghi e si resta in attesa del “grande colpo”. Il grande colpo è il piacere di aggiudicarsi un’opera sotto (o ampiamente sotto l’atteso valore di mercato), una sensazione di appagamento pari a quella del pescatore che torna a casa dalla famiglia con una preda di dimensioni impensate. Quando si prende ad un’asta una preda grossa con un amo piccolo si gonfia il petto e l’avventura può essere raccontata ad amici e familiari (magari romanzandola un po’ il che non guasta mai, così una trota di medie proporzioni nel racconto del pescatore può divenire uno squalo balena). Questo bibliofilo evoluto può ancora frequentare i “mercatini” ma lo fa con strategia. Si presenta ancora prima dell’apertura ufficiale del mercatino, d’inverno ancora prima dell’alba, armato di torcia, per identificare eventuali prede prima che giunga il pubblico “amatoriale”. Con il tempo ed il palato che si raffina diviene sempre più difficile trovare materiale librario buono in queste sedi, ma il sapore di quelle scorribande antelucane resta nei ricordi indissolubile e la speranza del colpo del secolo è sempre viva – basti ricordare qualche anno orsono il ritrovamento di un Rembrandt in un mercatino italiano di oggetti usati.
3. La passione – (ovvero basta che il libro “parli”)
Il bibliofilo che volesse ambire al premio del concorso di cui sopra dovrebbe fermarsi allo stadio 2. Perfezione, rigore, coerenza. “Purtroppo” (per i puristi delle collezioni) o per fortuna (dal mio punto di vista) per me e per chi ha subito la mia stessa INvoluzione, esiste un terzo stadio. Arriva un momento per alcuni, infatti, nel quale il libro diventa qualcosa di “vivo”. La sensazione di passare accanto ad un volume e “sentirlo”. Sono voci per il cuore e non per le orecchie. Un testo può “parlare” perché affronta temi correlati al proprio vissuto, oppure perché riaccende ricordi sopiti dall’infanzia, libera emozioni. La raccolta comincia a divenire più caotica ad occhi estranei, pur mantenendo agli occhi del bibliofilo una specifica coerenza. Così il povero bibliofilo del terzo stadio, di fronte alla “babele” della sua collezione, alla classica domanda “che tipo di libri cerchi o collezioni?” potrà rispondere in un unico semplice modo: quelli che hanno un’anima. Non si vincono concorsi di certo, ciò non di meno lo spirito della vostra biblioteca ne guadagnerà.
“Mentre accumulo pile su pile di volumi familiari, mi domando – come ogni volta – perché mai tengo tanti libri sapendo che non li leggerò mai. E mi rispondo che, quando elimino un libro, dopo qualche giorno mi accorgo immancabilmente che mi serviva proprio quello. Mi dico che non esiste nessun libro (o pochi, pochissimi) nel quale io non abbia trovato niente di interessante”
(Alberto Manguel – scrittore e lettore personale di Jorges Luis Borges)
E se dovesse venirvi il dubbio (come a Victor Uzanne) di non riuscire a leggere tutti i libri che acquisterete spinti dal richiamo della loro “anima” non preoccupatevi:
“Una Biblioteca non si limita a raccogliere i tuoi libri, li legge anche per conto tuo ” (Umberto Eco)