Il “First Folio”
Questo viaggio inizia con un frontespizio, la nostra “porta”. Si tratta del famoso “Mr. William Shakespeares comedies, histories and tragedies” , la prima pubblicazione completa delle opere teatrali di Shakespeare, nota come “First Folio”. Contiene 36 testi suddivisi in tragedie, commedie e drammi storici. Fu stampata a Londra nel 1623, quindi dopo la morte dello scrittore
Il testo si rifaceva alle trascrizioni dei manoscritti e dei copioni originari dal momento che l’autore non si era mai curato di farli pubblicare.
Nel corso del XVII secolo, dato il grande successo delle opere, furono stampate moltissime versioni del “First Folio” nelle quali i curatori spesso cambiarono dettagli, limarono o aggiunsero, a volte anche per la difficoltà di interpretazione dei manoscritti originali, apportando così non poche modifiche arbitrarie. Il secolo XVIII vide invece un ritorno alle origini.
Nel 1784, infatti, l’Editore Stockdale, che possedeva una stamperia a Piccadilly Circus, ripubblicò il “Folio” nella sua prima versione originaria ed integrale, quella del 1623, cancellando di fatto le modifiche apportate successivamente. Nel 1790, poi, Stockdale decise che l’edizione in formato “Folio” era troppo costosa e volle estendere l’accessibilità dell’opera ad un pubblico più vasto: nacque così la prima edizione in ottavo, in 3 volumi. Si tratta, attualmente, di un’edizione preziosa per la sua rarità, ma anche perché ci permette di conoscere l’opera di Shakespeare nella sua versione più autentica.
Le opere di Shakespeare
I temi trattati da Shakespeare sono i più disparati, come si è visto si va dalla tragedia, alla commedia, a volte anche con risvolti comici, al dramma storico. Lo scrittore si ispira quasi sempre ad opere precedenti. Tra le sue molteplici fonti si possono citare anche i classici latini, come Plutarco, Plauto, Seneca, Ovidio (in particolare le sue “Metamorfosi”) e poi opere medievali e del primo rinascimento. Persino il Decamerone del Boccaccio. Tutto ciò, però, nulla toglie al genio di Shakespeare il quale, con la sua arte incontestata, seppe dare una nuova vita a vecchie vicende e vecchi personaggi, rendendoli immortali. E’ uno studio sempre interessante quello che ci permette di scoprire le origini di un testo poi divenuto famoso. Una, ora, ci colpisce in modo particolare perché si tratta di una delle opere di Shakespeare più famose ed amate e perché le sue radici sono proprio qui, nel nostro paese. E allora facciamo un salto indietro nel tempo, sempre grazie ed attraverso una “porta” di un libro.
Alle radici di una storia
Anno del signore 1511. Montorso Vicentino, un paesino adagiato tra le verdi colline della Valle del Chiampo. Ad una finestra della bella villa di famiglia un uomo osserva sconsolato il paesaggio della vallata, le case, la campagna e, in lontananza, su due rilievi opposti uno all’altro, le sagome delle due rocche scaligere di Montecchio. E’ ancora giovane, ha appena 26 anni, ma sa che ormai è un uomo finito.

Luigi da Porto
Si chiama Luigi Da Porto, è nato nel 1485 da una nobile famiglia vicentina. Rimasto orfano presto, essendo la sua famiglia imparentata con quella di Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino, è mandato presso quella corte per completare la propria educazione.
A Urbino conosce e diviene amico di Pietro Bembo, con il quale instaura una lunga corrispondenza epistolare. Tornato a Vicenza, conducevita brillante e avventurosa come uomo d’arme e letterato colto. Ma il destino si fa beffe di lui e nel 1511, mentre è al servizio della Repubblica di Venezia, durante una scaramuccia con truppe tedesche alla frontiera in Friuli, viene gravemente ferito alla gola e rimane sfregiato e inabile. Non gli resta che rifugiarsi nella sua villa a Montorso, lontano dal mondo, lontano da tutti. Ha perso tutto, anche la donna che amava, Lucina Savorgnan, di nobile famiglia, sua lontana parente. Un amore contrastato dalle famiglie non in buoni rapporti e dunque un amore impossibile, soprattutto ora che Luigi non ha più nulla da offrire. Ha perso tutto, dunque. Gli rimane solo la sua vocazione letteraria e nello scrivere trova l’unico conforto possibile. Lo ispirano forse le due rocche scaligere di Montecchio (notare questo nome!), che ha davanti e che si guardano contrapposte, o forse il dolore per la fine della sua storia d’amore. Forse, da uomo di cultura, ha letto i racconti della Grecia Antica o Le Metamorfosi di Ovidio, là dove si parla di Piramo e Tisbe. Forse sono le tante leggende popolari che da sempre circolano e parlano di tristi amori contrastati.
Forse è tutto questo insieme e così nasce l’idea di un racconto. Ma Luigi vuol dare credito ai fatti di cui parla, vuole farli apparire reali e li colloca quindi in un preciso contesto storico. E allora immagina che, nel periodo del suo impegno militare, durante una marcia di trasferimento, un arciere, di nome Peregrino, per intrattenerlo gli abbia narrato le vicende di due infelici amanti vissuti a Verona nei primi anni del 1300, al tempo del signor Bartolomeo della Scala.
Historia novellamene ritrovata…
“Nel tempo che Bartolomeo dalla Scala, Signore cortese e umanissimo, il freno alla mia bella patria a sua posta e strignea e rallentava, furono in lei, secondo che mio padre dicea aver udito, due nobilissime famiglie, per contraria fazione ovvero particolar odio nemiche; l’una i Cappelletti, l’altra i Montecchi nominata…”.
Così inizia il racconto di Peregrino che parla del tragico amore di Romeo Montecchi e Giulietta Cappelletti. Da Porto dà un nome alla novella, “Historia novellamente ritrovata di due nobiliamanti con la pietosa loro morte intervenuta già nella città di Verona nel tempo del signor Bartolomeo della Scala” e la dedica alla “bellissima e leggiadra Madonna Lucina Savorgnana”.
I nomi, Montecchi e Cappelletti (che in seguito diventerà Capuleti), sono probabilmente ripresi da Dante (Purgatorio, canto VI, versi 105-6-7) che nella sua Divina Commedia cita queste due famiglie senza però accennare a contrasti tra di loro, né tanto meno ai due giovani infelici. Forse in qualche modo c’entrano anche le due rocche scaligere di Montecchio che il Da Porto ha sempre davanti a sé.
La storia di Rome e Giulietta attraversa il tempo e lo spazio
La novella viene pubblicata con successo nel 1530. La vicenda narrata è affascinante: piace e quindi viene subito ripresa da altri scrittori, in opere il cui contenuto però non si discosta troppo dal racconto di Luigi Da Porto che quindi può a ben ragione essere considerato il vero ispiratore del drammaturgo inglese.
E vediamo in che modo ciò avvenne: tra gli scrittori che ripresero la storia di Romeo e Giulietta il più famoso è certamente Matteo Bandello, che nel 1554 la inserisce nelle sue “Novelle”. Quest’ opera varca i confini, fa il giro d’Europa e ispira altre opere letterarie, ma anche pittoriche. Viene tradotta e pubblicata in Francia e questa versione a sua volta è tradotta in inglese.
Nel 1562 Arthur Brooke la riprende e ne fa un poema in versi: “Tragicall Historye of Romeus and Juliet”, opera peraltro di scarso valore letterario, piuttosto ripetitiva e noiosa, ma che ha il merito di essere proprio la base su cui Shakespeare costruirà la sua tragedia “Romeo e Giulietta”, scritta negli anni 1594-96.
L’arte del grande drammaturgo farà tutto il resto, legando indissolubilmente a sé e rendendo immortale la storia dei due infelici amanti veronesi.

Tela del famoso pittore italiano Francesco Hayez (1791-1882) che rappresentano un momento della storia di Romeo e Giulietta.