Henry Dunant, nato a Ginevra nel 1828, è un grande filantropo e un imprenditore molto attivo. Nel 1856 fonda in Algeria una società coloniale per la costruzione di alcuni villaggi e dei mulini. L’impresa si rivela più difficile e più costosa del previsto e, nel 1959, Dunant si rivolge all’imperatore francese Napoleone III per avere aiuti. Ma in quel periodo Napoleone è impegnato in Italia dove, con il suo esercito, sostiene le forze piemontesi in lotta con l’Austria: siamo all’epoca della Seconda Guerra d’Indipendenza.
Dunant ha fretta, la sua impresa non può aspettare e allora raggiunge l’Italia e segue l’imperatore nella speranza che prima o poi gli conceda udienza. E’ così che, senza volerlo, si trova ad essere presente a quella che è considerata la battaglia più sanguinosa del Risorgimento italiano.
Il 24 giugno 1959 nella piana presso il paese di Solferino l’esercito francese, comandato da Napoleone III e quello austriaco, comandato da Francesco Giuseppe in persona, si fronteggiano. Alle otto antimeridiane viene dato il segnale di inizio della battaglia.
E’ l’inizio di una giornata interminabile che, alla sera, vedrà tutta la pianura coperta di migliaia di corpi dei morti e dei feriti.
L’animo sensibile di Dunant, che ha potuto seguire tutto lo svolgimento delle operazioni, ne rimane sconvolto. Rimane colpito anche dall’intervento della gente del posto che si occupa dei feriti, li raccoglie, li porta nel duomo di Castiglione delle Stiviere e se ne prende cura senza fare distinzione di divisa.
Sono soprattutto le donne che si prodigano con grande generosità.
E’ in questo momento che, nella mente di Dunant, nasce l’idea di una organizzazione che si occupi in maniera esclusiva ed efficiente dell’assistenza ai soldati in guerra. Non si può lasciare al buon cuore di qualche bravo samaritano un’impresa così difficile e importante.
Il “Souvenire de Solferino”
Tornato a casa scrive i suoi pensieri in un libro, “Un souvenir de Solferino”, che nel 1862 fa stampare a sue spese: 1600 copie che non sono in vendita, ma sono distribuite ed offerte per fare conoscere la vera realtà della guerra.
Il libro è diviso in due parti; nella prima parte Dunant fa un preciso resoconto della battaglia, nella seconda racconta quello che ha visto dopo la battaglia, quando la sera è finalmente scesa su quei campi inzuppati del sangue dei soldati: 3492 morti, 23.319 feriti, francesi e austriaci, accomunati da una sofferenza atroce che solo la pietà di pochi volenterosi cerca di alleviare.
Dunant pone l’accento proprio su questa grande opera di soccorso volontariamente messa in atto dalla popolazione, e può descriverla nei minimi particolari avendo lui stesso trascorso la notte in quella chiesa e offerto il suo aiuto.
E’ un libretto senza pretese, ma l’effetto è dirompente. Scuote le coscienze di tutta Europa, molte personalità, Victor Hugo, Charles Dickens e tante altre di diverse nazionalità, esprimono la loro solidarietà. Una seconda edizione, questa volta messa in vendita, ha molto successo e va a ruba.

Gruppo fondatore – Croce Rossa Internazionale – Ginevra 1864
Sull’onda di questa nuova consapevolezza, a Ginevra viene indetta una Conferenza internazionale: nasce così la Croce Rossa Internazionale, la sua bandiera reca una croce rossa in campo bianco, sono i colori invertiti della bandiera svizzera, croce bianca in campo rosso, per ricordare le sue origini ginevrine.
Nel 1902 Dunant sarà insignito del primo Premio Nobel per la Pace.
Solferino, oggi.
Sono trascorsi esattamente 160 anni da quel giorno, ma c’è un luogo dove pare che il tempo si sia fermato.
Ci sono luoghi che “si impregnano” della storia che vivono.
Come spugne si imbevono di fatti, suoni, voci e, come spugne, se solo la si voglia sentire, restituiscono fedelmente l’atmosfera antica.
Sembra che, anche se è trascorso tanto tempo e nonostante gli inevitabili mutamenti, nulla sia cambiato, tutto sia rimasto intatto: la terra che calpestiamo è la stessa e nell’aria vibrano ancora voci antiche e dove ci fu gioia si risente un palpito di gioia, dove ci fu dolore riecheggia un sospiro struggente.

Piazza Castello – Solferino
Uno di questi luoghi è la grande Piazza Castello di Solferino della Battaglia: un’enorme piazza rettangolare deserta e sprofondata nel silenzio (lontane dallo sguardo e dall’udito sono le strade frequentate), circondata da vecchie e basse case, che recano il segno del tempo, e la grande chiesa posta al centro.
Qui sembra che tutto sia rimasto fermo come in una vecchia stampa un po’ ingiallita e consunta: la Storia, che in questo spazio rarefatto pulsa così evidente, così innegabile, ha cacciato la banalità del vivere quotidiano, ne ha fatto un suggestivo museo all’aperto e le case abbandonate rivivono la loro gloria nelle lapidi che recano.
L’orologio del tempo qui si è fermato il 24 giugno 1859, il giorno della Grande Battaglia, il giorno in cui il Sindaco (tale Giuseppe Casnici) si rifiutò di bruciare il paese così come gli era stato ordinato dal Comando Austriaco. La lapide non dice che cosa accadde poi a questo piccolo, eroico sindaco. Un’altra lapide ricorda la nascita della Croce Rossa.
In fondo alla piazza si passa sotto un arco lanciato tra due edifici. Anche qui una lapide ricorda che il castello, di cui ora restano solo poche rovine di mura e di torri, sommerse ormai dalla vegetazione, è stato costruito nel 1563 da Orazio Gonzaga.

La torre del Museo spicca in mezzo ai cipressi
Nell’unica torre rimasta in piedi è stato allestito un piccolo Museo della Battaglia del ’59. Negli angusti locali era sistemato il quartier generale francese.
Si può salire e dalla terrazza aperta, dall’alto di questa torre posta in cima alla collina, lo sguardo spazia, senza incontrare ostacoli, sulla solenne pianura e i dolci rilievi, sui prati, sui campi coltivati, sui paesi e le case sparse. In lontananza le acque del lago riflettono i raggi del sole come una lama immobile.
Proprio lì, in quella placida pianura il 24 giugno di 160 anni fa infuriò una delle più atroci battaglie che la storia del Risorgimento italiano ricordi.
Neppure la foschia calata con la sera riuscì a nascondere il numero incalcolabile di morti e di feriti francesi e austriaci che ricoprivano quei prati e quei campi inzuppati di sangue.
Ai piedi della torre, in fondo ad un viale di cipressi, sorge, sull’estremità del colle che in questo punto si protende come una penisola sulla pianura sottostante, il Memoriale della Croce Rossa.
Nel grande silenzio si avverte appena, a tratti, il fluire di strade lontane e il sussurro dell’aria tra le fronde compatte dei cipressi.
Improvvisamente, ad un leggero alito di vento, la catenella dell’asta portabandiera batte contro l’alto palo metallico: batte e ribatte lenta, monotona, leggera, ma solenne nel vuoto del silenzio circostante.
Pare di ascoltare una campanella: il rintocco doloroso di una campanella in ricordo di tanti caduti.