Questa “scheggia” è dedicata, in particolare, a tutti coloro che amano i gatti. Che cosa c’entrano i gatti con i libri? C’entrano perché il gatto in questione, anzi la gatta, è passata alla storia (quella piccola piccola) per essere stata tanto amata da un grande poeta e per essere stata la sua silenziosa compagna negli ultimi due anni di vita.
FRANCESCO PETRARCA
Francesco Petrarca, come abbiamo già avuto modo di scrivere, ha avuto una vita alquanto movimentata, eternamente combattuto tra i beni materiali e lo spirito, irrequieto viaggiatore, sempre in giro per l’Italia e l’Europa fino a quando, nel 1370, ormai anziano e sofferente, si ferma e si stabilisce definitivamente ad Arquà, un tranquillo paese dei Colli Euganei non lontano da Padova. Il luogo è ameno, ricco di boschi, di uliveti e di vigneti: forse gli ricorda un po’ la natia Toscana. Anche la casa è bella e ha un bel giardino. A Petrarca piace e ci si trova bene: lì trascorre serenamente le sue giornate, dedicandosi allo studio e alla revisione delle sue opere, soprattutto delle rime del Canzoniere.

La casa del Petrarca ad Arquà dal 1370 al 1374. Oggi è un museo
Scrive anche le sue ultime lettere, che andranno a completare la raccolta delle Epistole.
Alla fine del 1370, in una lettera al fratello dice:
“Qui fra i colli Euganei, a non più di dieci miglia da Padova, mi sono costruito una casa piccola ma deliziosa, cinta da un oliveto e da una vigna… E qui, benché ammalato, vivo pienamente tranquillo, lontano da ogni confusione, ansia e preoccupazione, passando il mio tempo a leggere e a scrivere”.
LA GATTA
In una bella giornata estiva del 1372, il poeta è nel suo studiolo e sta lavorando. Fa caldo e le porte e le finestre sono aperte sul giardino; silenziosamente, venuto chissà da dove, con il suo passo felpato, entra una gatta.
E’ lo stesso Petrarca che due anni dopo racconta l’episodio, in quella che è ritenuta la sua ultima lettera, scritta l’8 luglio 1374, pochi giorni prima della sua morte, e indirizzata all’amico Boccaccio. Così la descrive:
“E’ una gatta, ha macchie di tre colori diversi…zampe lunghe…un mantello morbido come la più raffinata delle sete, ma sono gli occhi quel che la rende speciale…Il suo occhio sinistro è verde brillante come un lago di montagna, l’altro è del misterioso colore dell’ambra luccicante. E’ entrata nella mia casa e nel mio cuore un bel giorno d’estate mentre stavo completando la mia raccolta di vite De viris illustribus..”

Petrarca nel suo studiolo con la gatta. Affresco di anonimo, XIV sec. Si trova nella Sala dei Giganti-Facoltà di Lettere Università di Padova.
La gatta e il Petrarca si guardano con curiosità, si studiano. La bestiola, vinta la diffidenza iniziale, si muove cauta nella stanza, annusa, si “struscia” alla maniera tipica dei felini contro i mobili, le gambe delle sedie, le pile dei libri. Poi, evidentemente soddisfatta, si sdraia sul pavimento scaldato dal sole. Per il poeta è un colpo di fulmine: chiama un servitore e fa portare del latte e del formaggio, accarezza la gatta e quella fa le fusa. Da quel momento diventano compagni inseparabili, lei lo seguirà nelle sue passeggiate in giardino e nello studiolo, comodamente sprofondata in un cuscino o accoccolata ai suoi piedi, osserverà sorniona e condiscendente il poeta al lavoro. Il poeta ammira il suo carattere:
“La gatta tiene molto alla sua libertà personale, e ti adula solo se le va. Quando la chiamo viene solo se ne ha voglia. Non conosco altri animali tanto liberi e indipendenti”.
La bestiola ha preso possesso della casa e del giardino e ne è diviene padrona e custode. “Con le unghie e con i denti” difende il suo territorio dall’intrusione di altri gatti, ma anche dei topi, pericolosi divoratori di carta e questo la rende particolarmente utile e cara al Petrarca che è un grande collezionista di libri.
“I libri sono sempre stati la mia vita. Per questo quando morirà sarà imbalsamata, e la sua memoria onorata per sempre…Ti farebbe piacere comporre un epigramma per l’epitaffio? Te lo chiedo come mio ultimo desiderio, io non sono nella condizione di farlo. La amo troppo e non potrei celebrare la sua morte prima del tempo”.
Il Petrarca parla proprio di amore, addirittura mette sullo stesso piano il sentimento che prova ancora per Laura e ora anche per la gatta. Così scrive all’inizio della stessa lettera:
“Laura, l’amore della mia vita,… che la peste mi ha portato via già da un’eternità ad Avignone, ancora adesso dopo molto tempo dalla sua morte è la regina incontrastata del mio cuore. Eppure un giorno… una gatta è entrata a far parte della mia vita insidiandone il primato. Da allora, questi due esseri si contendono lo scettro del mio cuore combattendo una lunga lotta travagliata, che ancora non ha un vincitore, sul campo di battaglia dei miei pensieri e sentimenti”.
E conclude, prima di salutare, con un “addio per sempre”, l’amico Boccaccio:
“… non c’è da stupirsi che io abbia un tale pensiero alla fine della mia vita: l’umanità si può suddividere grossomodo in due categorie. In coloro che amano i gatti e in coloro che vengono puniti dalla vita”.
Alla gatta del Petrarca sono stati dedicati saggi e versi. Tra tutti ricordiamo quelli del Tassoni nella “Secchia rapita”:
“ …e ‘l bel colle d’Arquà poco in disparte,
che quinci il monte e quindi il pian vagheggia;
dove giace colui, ne le cui carte
l’alma fronda del sol lieta verdeggia,
e dove la sua gatta in secca spoglia
guarda da topi ancor la dotta soglia.”
Alla fine del 1500 uno dei proprietari della casa, che nel frattempo era diventata meta di studiosi e ammiratori del Petrarca, ebbe l’idea di esporre in una teca di vetro, posta in una nicchia, un gatto imbalsamato. Sotto, una iscrizione in latino dice: “Il poeta toscano arse di un duplice amore: io ero la sua fiamma maggiore, Laura la seconda. Perché ridi? Se lei la grazia della divina bellezza, me di tanto amante rese degna la fedeltà; se lei alle sacre carte diede i ritmi e l’ispirazione, io le difesi dai topi scellerati. Quand’ero in vita tenevo lontani i topi dalla sacra soglia, perché non distruggessero gli scritti del mio padrone. E ora pur da morta li faccio tremare ancora di paura: nel mio petto esanime è sempre viva la fedeltà di un tempo.”
Così, in qualche modo si sono rispettate le ultime volontà del poeta, anche se la gatta non è la stessa e l’epigrafe non è del Boccaccio.
Sono le piccole cose belle che cambiano il mondo, una gatta, un’epigrafe, un articolo su wordpress… Grazie
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