Un ritratto insolito del grande scrittore

Nell’ultimo post abbiamo parlato dello scrittore francese Chateaubriand e del suo soggiorno a Roma nel 1828-29, quale Ambasciatore del suo paese presso il Vaticano. Nel fare ricerche sul personaggio e su questa sua esperienza romana, ci siamo imbattuti in uno scritto particolare, che ha catturato subito la nostra attenzione ed eccitato la nostra curiosità a saperne di più.
Si tratta di un lungo articolo pubblicato nel numero di maggio-giugno del 1885 della Revue des Deux Mondes, prestigiosa rivista francese fondata nel 1829, che inizialmente trattava argomenti letterari, con firme del calibro di Dumas, Balzac, Hugo e tanti altri, a cui in seguito si sono aggiunti anche contributi dal mondo della politica e dell’economia.
L’articolo, intitolato “L’Ambassade de M. de Chateaubriand à Rome en 1828” è preso da “Ma jeunesse 1814-1830. Souvenir par le Comte d’Haussonville” libro di memorie scritto dal citato conte e pubblicato a Parigi nel 1885, un anno dopo la sua morte avvenuta nell’84.
Il Conte d’Haussonville

Joseph Othenin Bernard de Cléron conte d’Haussonville, nato nel 1809, è il rampollo di una nobile famiglia francese. Il padre militare, colonnello di Stato Maggiore, ciambellano di Napoleone I e pari di Francia, nutre ambizioni per questo figlio unico e, grazie alla sua posizione e alle sue conoscenze riesce ad ottenere, nel 1828, per il figlio appena diciannovenne l’incarico di addetto all’Ambasciata di Roma al seguito dell’Ambasciatore appena nominato, lo scrittore René de Chateaubriand.
Leggendo le sue memorie, veniamo a sapere che per il ragazzo questa è una grande opportunità che gli apre le porte della carriera diplomatica. Ma non è solo questo ad attirarlo. Joseph appartiene a quella folta schiera di giovani che letteralmente adorano Chateaubriand per le sue idee politiche e per i suoi scritti che già hanno riscosso un notevole successo: “Le génie du Christianisme”, “Les Martyrs”, “La Monarchie suivant la charte”. L’idea di lavorare con un tale grand’uomo lo entusiasma e lo riempie di gioia.
Con questi sentimenti Joseph si mette in viaggio, accompagnato dal padre, nel mese di luglio del 1828. Il suo primo incontro con l’Italia è molto piacevole; padre e figlio vengono accolti sia dalle autorità pubbliche che dalle famiglie nobili con tutti i riguardi dovuti alle persone di alto rango. Giungono a Roma nel mese di settembre, Chateaubriand si è già insediato da due mesi.
A questo punto, prima di proseguire nel racconto della sua giovanile esperienza romana, il conte d’Haussonville fa una digressione che, come capiremo poi, è assolutamente necessaria. Scrive:
” Prima di raccontare quello che ho visto di persona riguardo l’ambasciata di Monsieur de Chateaubriand, io mi sono riletto le sue Memorie d’oltre-tomba…(omissis in cui cita diversi scritti di noti personaggi della cultura e della politica sulla figura dello scrittore)…e le lettere che mio padre scrisse da Roma a mia madre con le confidenze che l’ambasciatore, che apparteneva al suo stesso gruppo politico, gli aveva fatto.”.
Inoltre, il conte aveva potuto visionare tutta la corrispondenza romana dello scrittore, i dispacci di lavoro e anche le lettere all’amica Madame Récamier che erano state rese pubbliche. A queste fonti si aggiungono poi i suoi ricordi personali e in tal modo egli pensa di riuscire a
“ …mettere a fuoco assai bene la figura del mio antico capo”.
Perché l’autore ha voluto fare queste precisazioni? Per dare credibilità a tutto ciò che avrebbe scritto dopo: per far comprendere che non si trattava solo di giudizi espressi da un giovane ancora inesperto. Torniamo allora al giovane Joseph che è appena arrivato a Roma.
Una delle prime cose che lo colpiscono è il rapporto tra Chateaubriand e la moglie, Célest Buisson de la Vigne, che lo scrittore ha sposato senza grande entusiasmo su suggerimento della sorella. Un matrimonio combinato, come del resto si usava all’epoca. Per di più Célest non è proprio una bellezza, soprattutto se la si paragona a Juliette Récamier, amica ed amante di tutta la vita dello scrittore, e soprattutto non ha il suo spirito. E’ una donna di cui Victor Hugo diceva impietosamente:

“ …magra, secca, molto marcata dal vaiolo, spirituale senza essere intelligente”
Sicuramente Chateaubriand avrebbe preferito portare con sé a Roma Madame Récamier, condividere con lei quella esperienza, averla accanto nelle sue frequenti e lunghe passeggiate tra le rovine ispiratrici di “romantici” sentimenti. Ma gli obblighi imposti dal cerimoniale, per di più in una città così fortemente cristiana, gli impongono d’aver accanto la moglie legittima a far gli onori di casa nell’Ambasciata. Célest è consapevole del fatto che ora ha la possibilità di rivestire, per la prima volta, accanto al marito un ruolo importante e se ne approfitta prendendosi la sua piccola rivincita.
Così non si fa sfuggire le occasioni, anche in presenza del personale dell’Ambasciata, per contraddirlo e correggere le sue affermazioni. Ma fa di più, tanti piccoli dispettucci che la dicono lunga sul suo carattere: se il marito dice che fa freddo, lei ordina alla servitù di spalancare porte e finestre, se il marito dice che fa caldo, ordina di chiudere tutto e mettere legna al fuoco.
Chateaubriand pare non accorgersi di queste piccole vendette. Il giovane addetto non sa se si tratta di pazienza, di indifferenza o perché lo scrittore è conscio del fatto che ha tante cose da farsi perdonare. Forse anche a causa dei rapporti tesi tra marito e moglie, manca nella vita quotidiana dell’ambasciata quella vivacità e quell’atmosfera familiare che, in passato, a detta del personale anziano, l’hanno sempre caratterizzata. Peraltro, i due coniugi non sono neppure molto attenti alle esigenze dei dipendenti, appaiono distanti ed indifferenti ai loro problemi.
La vita in ambasciata
Le giornate trascorrono piuttosto monotone. La sera è raro che si ricevano ospiti: solitamente, dopo cena l’ambasciatore si intrattiene brevemente con il primo segretario e poi gioca una partita a scacchi con un funzionario. Spesso perde, anche se lui si ritiene un ottimo giocatore, ma la cosa comunque “non lo lascia di cattivo umore”.

“Il nostro capo aveva, per la maggior parte del tempo, questa aria profondamente annoiata della vita”
ricorda ancora d’Haussonville nelle sue memorie e racconta di una particolare abitudine dello scrittore.
“Si mette tutto dritto davanti ad uno specchio, le gambe allargate, la schiena leggermente incurvata, i gomiti appoggiati sul bordo del caminetto sottostante e si passa le mani nei capelli e sulla larga fronte. Non è raro vederlo così, guardarsi faccia a faccia per dei quarti d’ora.”
A cosa pensa in quei lunghi istanti silenziosi? Ai problemi di Stato o alla sua cara Juliette? Il sospetto del giovane addetto è che, come tanti altri grandi uomini, pensi esclusivamente a sé stesso! Anche nelle occasioni pubbliche Chateaubriand e la moglie non brillano per particolare vivacità. Le feste di gala che si svolgono nei saloni del Palazzo De Carolis Simonetti, sede dell’Ambasciata francese, sono molto frequentate, è vero, ma non sono neppure paragonabili alle feste che vi si tenevano all’epoca della Restaurazione o del regno di Luigi Filippo, anche se Chateaubriand parla di “splendore delle sue feste”, convinto com’è di provocare l’invidia degli altri diplomatici. Il fatto è che lo scrittore manca di disinvoltura, ostenta sempre quella sua aria annoiata di superiorità ed è “sempre preoccupato dell’effetto prodotto dalla sua persona”.
Dal canto sua la moglie è una donna scialba e senza brio, probabilmente anche per via del suo cagionevole stato di salute.

A proposito di aria di superiorità, Joseph ritiene che, nel suo intimo, Chateaubriand disprezzi i suoi colleghi del corpo diplomatico; infatti su tutti esprime giudizi negativi, giudizi che, a detta di chi conosce bene quelle persone, sono assolutamente ingiustificati. Gli altri, di contro, contestano allo scrittore una certa incapacità di curare gli interessi del suo paese e il fatto di non saper “difendere con successo, presso la Santa Sede, le cause per cui è stato incaricato”.
Come si può vedere sono giudizi molto severi quelli che formula il giovane addetto, il quale però non solo esprime le proprie impressioni, ma, per avvalorare le sue parole, cita nome e cognome delle persone da cui raccoglie queste informazioni. Ma vi sono anche dei lati “buoni” nel carattere dello scrittore. Uno è sicuramente la generosità: ad un viaggiatore, di passaggio a Roma, che ha perso una forte somma al gioco e si è rivolto a lui in cerca di aiuto, non esita a prestare la grossa cifra, avendo come unica garanzia la speranza del giovanotto di ereditare un giorno da un anziano ricco zio. Molti altri sono gli episodi spiccioli di vita quotidiana, abitudini e considerazioni sul carattere di Chateaubriand che dimostrano quanto il giovane Joseph sia attento a tutto quanto accade intorno a lui.
Storia di Papi
L’avvenimento più importante di tutto questo periodo è sicuramente la morte del Papa Leone XII e la successiva elezione del nuovo Pontefice, Pio VIII. Siamo nella primavera del 1829. Questo fatto porta una certa animazione a Palazzo Simonetti e conferisce importanza ai dispacci che l’Ambasciatore invia a Parigi. Ma proprio in quei giorni Joseph si allontana da Roma per un breve viaggio, insieme al padre, prima a Napoli e poi in Sicilia. Quando ritorna a Roma, trova la città in festa per il nuovo Papa. Anche l’Ambasciata è in festa, Chateaubriand è particolarmente euforico: è fiero del fatto che a lui solo -così per lo meno crede- spetti il merito di aver fatto eleggere il Cardinale Castiglioni, gradito alla Francia. Parla con orgoglio del “mio Papa”.
Ma nelle memorie del conte d’Haussonville la realtà appare diversa. Joseph e suo padre, in seguito, hanno occasione di parlare con diversi diplomatici e di esaminare i dispacci intercorsi all’epoca. Da queste testimonianze risulterebbe che l’elezione al soglio pontificio di quel cardinale sia dovuta al fatto che, in quel momento, il Sacro Collegio auspicava un Papato di breve durata e il Castiglioni, già da tempo molto malato, garantiva questa eventualità, che infatti si verificò puntualmente poco più di un anno dopo.
Le strade si dividono

A questo punto le strade del giovane addetto e dell’ambasciatore-scrittore si dividono. Chateaubriand chiede un periodo di congedo per tornare a Parigi, un po’forse per nostalgia dell’amica Madame Récamier (“Tra quindici giorni avrò il mio congedo e potrò vedervi!…io non sono più triste: ritrovarvi, ecco tutto!…”), ma anche perché spera, in considerazione di quello che ritiene il suo grande servigio reso alla Francia in occasione della recente elezione del Papa, in un’accelerazione della sua carriera politica. Forse addirittura spera in una nomina a Primo Ministro. La situazione però cambia: la poltrona di Primo Ministro passa dal liberale Martignac all’ultrarealista e antiliberale Polignac, di conseguenza Chateaubriand, nel mese di agosto, dà le dimissioni da ambasciatore e un anno più tardi abbandona definitivamente la politica. Joseph d’Haussonville, il giovane addetto, prosegue invece con successo la sua carriera diplomatica che in seguito abbandona per quella politica. Verrà nominato senatore a vita e per le sue opere storiche di grande valore sarà eletto membro della prestigiosa Académie Francaise.
Un personaggio di grande “spessore”, come si dice oggi; di certo le sue affermazioni sono precise, controllate e affidabili. Non abbiamo, quindi, motivo di credere che quanto da lui scritto sul grande scrittore Chateaubriand non corrisponda alla realtà.