Come molti altri nostri viaggi nell’universo letterario, anche questo ha inizio da un libro, una bella e fresca edizione di “A Christmas Carol” magnificamente illustrata da Arthur Rackham e pubblicata ad inizio ‘900. Una splendida edizione ma non certamente la prima, oggi combattuta alle aste internazionali a prezzi non proprio accessibili al collezionista amatoriale.
L’Uomo che inventò il Natale

La locandina
E’ superfluo parlare di Dickens e del suo famosissimo racconto. Voglio ora , invece, ricordare un film del 2017 intitolato “ L’ Uomo che inventò il Natale”.
Non si tratta dell’ennesima trasposizione cinematografica del racconto, ma della descrizione di come è nato il racconto stesso.Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Les Standiford del 2008 e racconta un episodio della vita del grande scrittore inglese Charles Dickens legata al “Canto di Natale”. Nel 1843, durante un periodo di crisi in seguito al rifiuto degli editori di pubblicare alcuni suoi manoscritti, Dickens, spinto da una improvvisa ispirazione, in poche settimane scrisse il suo “Canto di Natale” con l’intenzione di autopubblicarlo, nella speranza di avere successo e poter finanziare successivi racconti. Fin qui il film.
A Christmas Carol
Il racconto ottenne un grande successo fin da subito e da allora l’opera non ha mai smesso di essere pubblicata e tradotta in tutto il mondo. Considerata la più bella e commovente storia di Natale di tutti i tempi ha ispirato altri scrittori ed è stata soggetto di numerosi film (una ventina tra cinema e televisione) e persino di fumetti. Il più famoso è quello pubblicato sul “Topolino” n.1412 del 19 dicembre 1982, una versione fedele e suggestiva con Zio Paperone nei panni di Ebenezer Scrooge.

Il Canto di Natale di Topolino
Ma questo racconto non ha solo un valore letterario; all’epoca, come altri romanzi di Dickens, ebbe un effetto dirompente sulla società e contribuì a segnarne un profondo cambiamento, mettendo in luce le grandi disparità sociali, denunciando le condizioni di estrema povertà in cui viveva tanta parte della popolazione e promuovendo lo spirito di solidarietà nei confronti dei più bisognosi.
Il Natale rappresenta il momento di una nuova consapevolezza: è la festa della famiglia, dell’amore e della solidarietà. Dimenticati malumori e rancori le famiglie e gli amici si ritrovano in allegria. Lasciati da parte egoismo e diffidenza le persone si sentono più solidali nei confronti dei poveri e dei diseredati.
Ecco perché qualcuno ha considerato Dickens “ l’inventore del Natale”, più esattamente dovremmo dire dello spirito del Natale, così come ancora adesso viene sentito da tutti, anche se purtroppo la nuova società consumistica, a volte, ci fa dimenticare il vero significato e il vero valore di questa festività.
Il Natale, in realtà, è una festa dalle origini molto lontane e Dickens lo sapeva bene. La storia ci dice che già anticamente molte popolazioni festeggiavano il momento del solstizio d’inverno, quando la luce vince sulle tenebre e le giornate cominciano ad allungarsi, fugando le paure ataviche della morte del sole. Probabilmente era una delle feste più importanti soprattutto nei paesi nordici, avvolti per lunghi mesi in un buio freddo e profondo. Ma anche gli antichi Romani celebravano il dies natalis invicti solis, cioè il giorno in cui nasce il sole vincitore. Il Cristianesimo fece sua questa festa molto sentita e profondamente radicata nelle popolazioni pagane e la festa del solstizio d’inverno divenne la festa che celebra la nascita di Cristo: è Dio, luce spirituale, che si manifesta per salvare l’umanità dalle tenebre del male. Queste le origini della festa, ma si può affermare che il Natale, come lo sentiamo e lo viviamo noi attualmente, con riti e tradizioni ben precise, ha le sue origini in Inghilterra nella seconda metà del XIX secolo durante il regno della Regina Vittoria.
Il Natale Vittoriano
Abbiamo visto l’influenza che ebbe lo scrittore Dickens, vissuto in quello stesso periodo, e che andò ad aggiungersi ai profondi mutamenti che nella società inglese stavano maturando. Il lungo regno della Regina Vittoria portò ad un periodo di stabilità politica e a una conseguente crescita economica.

L’albero di Natale nell’epoca Vittoriana
Questo determinò lo sviluppo di un ceto borghese che acquistò sempre più potere e cercò di affermarsi facendo suoi i modelli di vita delle classi superiori. Fu così che, per quanto riguarda il Natale, si verificò una vera e propria esplosione di festeggiamenti rispetto alle epoche precedenti. Vittoria aveva sposato Alberto di Sassonia-Coburgo, un principe tedesco, il quale introdusse in Inghilterra alcune tradizioni del suo paese, prima fra tutte quella dell’albero decorato.
Il primo albero di Natale, un abete perché pianta sempreverde e molto diffusa in tutti i paesi nordici, fu addobbato a palazzo reale, ma presto l’usanza si diffuse presso le famiglie nobili e poi della borghesia. Gli alberi erano decorati con frutta e dolcetti, ma anche candeline, nastri e festoni di carta fatti in casa. Intorno al 1880 le riviste femminili cominciarono a suggerire e a dare istruzioni su come realizzare le decorazioni sia per l’albero che per gli ambienti domestici. Per questi ultimi si usavano soprattutto rami di abete, agrifoglio, pungitopo e vischio che si andavano a raccogliere nei boschi. Proprio in questo periodo si diffuse l’usanza di baciarsi sotto il vischio, pianta che già presso gli antichi celti era considerata magica e beneaugurante. La giornata di Natale era interamente dedicata alla famiglia e agli amici più cari. La mattina ci si recava a messa (la tradizione della messa di mezzanotte è solo cattolica) e a mezzogiorno ci si ritrovava tutti per il lauto pranzo a base soprattutto di carne, manzo, cinghiale, arrosto di tacchino o di oca, prosciutto e ostriche, poi l’immancabile pudding natalizio e i biscotti speziati. Il tutto irrorato con mulled wine (il nostro vin brulè)
Presso le famiglie più ricche e la nobiltà anche la servitù partecipava al pranzo, a volte ammessa addirittura alla stessa tavola. Il pomeriggio era dedicato alle visite degli amici e ai giochi con i bambini. Questi, nelle classi elevate, vivevano per lo più confinati nelle loro stanze, affidati alle bambinaie. I rapporti con gli adulti e gli stessi genitori erano rari e superficiali, ma a Natale venivano eccezionalmente ammessi nelle sale, mangiavano con i grandi, erano coccolati, e si divertivano sotto l’albero decorato con i giochi ricevuti in regalo.

I Christmas Craker
In epoca precedente, lo scambio di doni era una tradizione più diffusa a Capodanno e si trattava per lo più di oggetti beneaugurali, come rametti di vischio. In epoca vittoriana l’usanza fu spostata al giorno di Natale: gli adulti si scambiavano calendarietti, almanacchi, riviste e piccoli libretti con illustrazioni vivaci e dorate, spesso arricchiti dalla collaborazione di scrittori e poeti di grido. Ma erano soprattutto i bambini i destinatari dei doni, inizialmente dolcetti e piccoli giochi.
Un pasticcere di Londra inventò i Christmas cracker, dei tubi avvolti in carta colorata, con la forma di una grande caramella, che contenevano i dolci. Per aprirlo si dovevano tirare le estremità e così facendo si produceva una piccola esplosione, un botto (da qui il nome cracker). I cracker erano usati anche per decorare la casa, l’albero e la tavola natalizia come segnaposti. In seguito nei cracker furono messi anche dei piccoli giocattoli.

Gli acquisti di Natale a Londra
A proposito di giocattoli, fu proprio la loro crescente diffusione e conseguente richiesta per il Natale a incentivarne la produzione in serie. Il periodo dal 1850 al 1914 è considerato “la stagione d’oro” dell’industria del giocattolo: molto successo ebbero i giocattoli di latta (trenini, macchinine, ma non solo) e quelli meccanici. Proprio a Londra esiste ancora il negozio di giocattoli più grande e più antico del mondo: Hamleys Toy Shop. Aperto già sul finire del ‘700, trovò il suo grande sviluppo nella seconda metà dell’800. Tra i suoi clienti più affezionati figurava (e figura tuttora) la stessa famiglia reale
Santa Claus e Dickens
Intanto si era diffusa la tradizione di Santa Claus, il nostro Babbo Natale, anche questa importata dalla Germania. Inizialmente il buon vecchio, che dispensava doni ai bambini buoni, era raffigurato con lunghi capelli e barba bianchi, la veste e il cappello verdi orlati di pelliccia. E proprio vestito così Dickens rappresentò lo spirito del Natale Presente (un omone allegro e sorridente) nel suo racconto “Il canto di Natale”.
Accanto all’abitudine di scambiarsi doni si diffuse anche quella di inviare biglietti d’auguri. Pare che i primi biglietti d’auguri realizzati in serie siano stati inventati da Sir Henry Cole nel 1843. Questo signore, temendo di non fare in tempo a scrivere a mano le numerose lettere che era solito inviare a parenti e conoscenti in occasione del Natale, chiese ad un amico pittore, John Horsley Calcott, di disegnare per lui un biglietto che contenesse anche una frase augurale e ne fece stampare 1000 copie. Diede così inizio ad una tradizione che ebbe poi una grande diffusione in tutto il mondo.
I Canti di Natale

Gruppo di “Caroles”
Un’altra usanza che prese piede nel periodo vittoriano è quella del caroling. Già esisteva (e pare che risalga addirittura al Medioevo) la consuetudine di cantare canzoni appositamente create per il Natale, ma per lo più ciò avveniva nelle chiese o all’interno delle case. Molte di queste canzoni non erano neppure scritte, ma venivano tramandate oralmente. Due studiosi, Davies Gilbert e William Sandys, le raccolsero e le pubblicarono facendole conoscere al grande pubblico. Lo stesso Dickens, con il suo racconto ne favorì la diffusione. Infatti lo scrittore, già nel titolo, fa riferimento ad un canto: si tratta di “God rest you merry, gentlemen”, una melodia molto suggestiva che nella sua esecuzione classica per coro riecheggia vaghi motivi medievali.
I caroles erano persone, a volte anche bambini, che in gruppo camminavano per le strade e si fermavano a cantare oppure andavano di casa in casa, con la speranza di essere invitate a bere qualcosa di caldo o di ricevere un’offerta.
Il Natale dei poveri nel cuore di Dickens
Quello di cui abbiamo parlato finora era il Natale dei nobili e dei ricchi. Per le classi più povere la realtà era molto diversa.
Il giorno di Natale era un giorno lavorativo come gli altri, nel migliore dei casi per chi se lo poteva permettere c’era un pasto un po’ più ricco, o meglio, meno povero degli altri giorni. Per la maggior parte della gente non c’era pranzo, non c’erano albero, né decorazioni.

Distribuzione di doni ai poveri nel “Boxing Day”
Per i bambini, spesso maltrattati, venduti, adibiti, anche molto piccoli, a mestieri faticosi e pericolosi come gli spazzacamini o i minatori, non c’erano dolcetti né giocattoli. Dickens contribuì a far conoscere questa tragica realtà, descrivendola così bene in molte delle sue opere e mostrando quanto ci fosse di ingiusto nella società. I suoi scritti, primo fra tutti il Canto di Natale, ebbero il grande merito di svegliare le coscienze e di sollecitare una nuova sensibilità che proprio a Natale si concretizza in gesti di generosità.
E così si diffuse e si consolidò in questo periodo l’usanza del boxing day .Il giorno successivo al Natale, il 26 dicembre, fu dedicato alla solidarietà verso i poveri e gli ammalati: i ricchi uscivano per le strade e distribuivano a tutti i bisognosi scatole e cestini con regali, soprattutto alimentari e qualche giocattolo per i bambini. C’era chi lo faceva con vero spirito di solidarietà, chi solo perché era di moda, ma comunque era il sintomo che qualcosa cominciava a muoversi nella coscienza sociale.